Stalking e Violenza di genere

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I moventi di un Delitto senza tempo

Qualche giorno fa ho ricevuto un invito dall’”Associazione doMino sez. di Catanzaro” per intervenire in questo convegno sul tema dello Stalking e della violenza di genere. Ne sono stato allo stesso tempo spaventato ed onorato. Avrei avuto la possibilità di poter portare il mio punto di vista che parte da un vertice teorico gruppoanalitico e sociocostruttivista davanti ad una platea di avvocati impegnati nella formazione continua e nell’arricchimento professionale.

Io sono un clinico, dunque i palchetti mi stanno molto stretti. Avrei voluto subito mettermi in mezzo alla platea intervenuta, poterla ascoltare, giocare con le loro fantasie. Cercato però di realizzare un intervento ibrido. Parlare di Moventi in psicologia ha poco senso. Ci si mette davanti al primo scoglio: Anche in questa conferenza ad esempio si stanno proponendo due repertori linguistici, che rappresentano distinti mondi culturali, di significazione de devono imparare a parlarsi, tradursi: quello legale e quello psicologico.

La collega che mi ha preceduto, la competente dott.ssa Ferragina, ha avuto l’onere di chiarire quali fossero gli aspetti psicologici predominanti nei casi di stalking e violenza di genere. Ma quando si parla di “moventi” la traduzione letterale non può essere semplicemente “Motivazione”. Come evidenziato non si può delegare tutto alla psicopatologia se questa coinvolge solo il 10-13% dei casi. Facciamo subito una prima distinzione. La psicopatologia è un quadro netto, definito e stabile, purtroppo però non è così frequente da potergli delegare ogni malefatta. Tutti ci portiamo dentro i tratti di ogni psicopatologia. Ossessioni, compulsioni, mancanze, dipendenze… Chi non ha mai usato lo smartphone per evitare una discussione scomoda. Questo fa di lui un tossicodipendente? No! Però in un certo senso il meccanismo è quello stesso della dipendenza patologica.

Perciò dove risiedono il restante 90% delle motivazioni che sfociano in episodi di violenza di genere e stalking? Circolano evidentemente attorno a noi, ci attraversano tutti, soprattutto se ci rendiamo conto che moltissime statistiche concordano nell’idea che almeno una donna su due subisca prima o poi nel corso della vita almeno un episodio di sopruso. È tantissimo.

Per permettere al pubblico di entrare all’interno di questa complessità che ci attraversa e pervade inconsciamente ho deciso di spiegare come mai si usa il termine Femminicidio oggi. Questa parola bistrattata e abusata racchiude dentro di sé proprio quei moventi che mi sono stati chiesti. Se rapino un supermercato ed uccido la cassiera, quello non è un femminicidio. Il femminicidio è il massimo esito del tentativo di bloccare una donna dall’esprimere la propria libertà. Dall’esprimere le proprie potenzialità, la propria individualità, dall’esprime il proprio essere donna libera da schemi, stereotipi, fantasie dominanti.

Le parole sono importanti, strutturano la nostra realtà. Per rendere quest’idea al meglio, iniziare a smontare qualche stereotipo ed esplicitare quanto alcune cose che diamo per scontate in realtà siano più complesse e costruite da noi stessi, ho scelto di aprire una parentesi. Ho Cercato di fare un po’ di chiarezza riguardo un fenomeno su cui esiste ancora oggi tantissima confusione e troppo spesso diamo per scontato: la distinzione tra “Sesso”, “Genere” e “Orientamento sessuale”.

La natura per prima fa confusione a volte e non ha una linea netta di demarcazione. Nel sesso biologico le persone possono essere Maschi, Femmine o Intersessuali. E a volte non è automaticamente scontato che gli esiti siano scritti nella genetica. La comunità scientifica scopre anomalie e variabili continuamente, e di conseguenza la società, gli sport, ancora oggi si confrontano in un dibattito continuo.

Il resto è Tutto Socialmente Costruito. Io scelgo se identificarmi in un genere o in un altro, se essere donna o uomo, se confermare il mio sesso biologico o riconoscermi nell’altro, se in entrambi o in nessuno. Non è automatico per tutti. E ancora indipendentemente da quanto detto prima, posso provare attrazione per un sesso o l’altro, per entrambi o per nessuno. Ognuno sarebbe libero di poter scegliere ciò che lo fa star meglio con sé stesso e più gli piace. Capite quanta complessità al giorno d’oggi diamo per scontata? Spesso non siamo pronti ad accettarla, ad accoglierla.

Il mio intervento aveva nel titolo uno sconfinamento nel tempo. Un delitto senza tempo perché storicamente il ruolo dell’uomo e della donna si costruiscono attraverso la cultura dominante. Per noi occidentali, fin dai greci all’idea di mascolinità è associata la forza, la virilità, la mancanza di sensibilità, la poca empatia, il contatto con le proprie emozioni. E ciò che non è compatibile con l’idea maschia dominante, spesso è delegata alla parte femminile. Il sesso debole, quello che non può opporsi, deve restare a casa, non può fare lavori faticosi, deve saper cucinare, gestire i figli, cose così.

È terribile se ci pensiamo, convincerci che il rosa sia il colore delle femminucce, delle nostre bambine, condannandole poi ad entrare in una dimensione in cui il rosa è associato esclusivamente a cose frivole (la letteratura rosa ad esempio) oppure a dimensioni marginali (le quote rosa…)

Viviamo in una società che continua a mercificare il corpo delle donne con effetti distruttivi incalcolabili. V’invito ad approfondire con un video che si trova su Youtube intitolato Il corpo delle donne:

Ma se non vogliamo usare questo che ormai è un vecchio contributo, anche se qualcosa è stato fatto, siamo ancora lontanissimi se è solo di pochi giorni fa l’episodio che ha coinvolto Emma Marrone in diretta in prima serata.

Sono numerosi gli studi in cui viene dimostrato che anche solo l’esposizione a questi materiali limiti la piena espressione cognitiva. Segnali che bloccano, imbarazzano, non permettono la piena espressione libera del potenziale.

La mercificazione cammina di pari passo con l’oggettivizzazione della figura femminile: la persona viene svuotata di significato, di emozioni, di sentimenti. La sciando spazio agli stereotipi ci ritroviamo con Uomini che possono essere esclusivamente forti e virili, insensibili, e donne che devono piegarsi, sottostare, impossibilitate a contattare uno spirito di reazione, di rivalsa, di sana oppositività, costrette nel loro ruolo passivo ad essere un oggetto posseduto dall’uomo e non poter mai esprimere la propria individualità.

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A questo punto non posso non citare la meravigliosa campagna di Dove che in Danimarca ha provato a fare un Hacking su scala sociale dell’immagine della donna. Io l’ho celta come copertina di quest’articolo, perchè rappresenta al meglio il processo indispensabile per un intervento veramente incisivo. Anche qui in Italia, se cerchiamo su Google “Beautiful Woman” escono quasi esclusivamente modelle ritoccate in pose ammiccanti, costume da bagno, lingerie, seni e glutei gonfi e tonici. Pura apparenza estetica centrata sul corpo. L’azienda ha coinvolto su larga scala agenzie pubblicitarie, altri brand per realizzare un capovolgimento dello stereotipo prevalente, realizzando scatti di donne in carriera, operaie, atlete, scienziate, ecc. Quella partita come una provocazione è servita a svelare il castello di carte illusorio in cui la società si rifugia. Inconsapevolmente anche gli attori in gioco reiterano questi stereotipi proponendo continuamente immagini di donne deboli, ferite, piangenti, fiori strappati, rirpoponendo il punto di vista dell’aggressore, piuttosto di coinvolgere attivamente le destinatarie nell’identificarsi con modelli finalmente funzionali, di donne emancipate, finalmente serene, determinate.

Ecco perché piuttosto  che parlare della gelosia in generale, delle fantasie di possesso e di controllo, del timore del rifiuto, avendo molto poco tempo a disposizione ho preferito coinvolgere l’uditorio in una riflessione su quali modelli tutti noi ci portiamo dentro. Parlando ad una maggioranza di avvocatesse, professioniste che sulla loro pelle avranno potuto percepire sulla propria pelle gli effetti di queste costruzioni sociali, durante i primi confronti con giudici, colleghi e funzionari. Non diamo per scontato che nonostante le buone intenzioni, poi le stratificazioni di repertori culturali prendano il sopravvento.

Per concludere e metter insieme quanto proposto col tema della giornata non ho potuto non citare il film Perfetti sconosciuti. La pellicola inscena alla perfezione le fantasie onnipotenti di pretesa e di controllo che sottendono alle dinamiche della violenza. C’era una scena in cui una delle protagoniste riflette finalmente lucidamente che “bisognerebbe imparare a lasciarsi”. La ritengo la migliore riflessione tra le tante che questo bellissimo film dell’orrore rievoca.

La conferenza è proseguita con altri contributi più tecnici da parte dei legali. Mi ha fatto molto piacere vedere quanto istantaneamente alcuni di essi abbiano subito fatto più attenzione a non cadere in inconsapevoli reiterazioni di stereotipi nei loro discorsi (sesso debole, vittime fragili, persone indebolite non deboli).

La lettura psicologica del fenomeno non è incompatibile con la lettura socio-culturale. Una socializzazione al genere che non prevede un’educazione al rispetto e all’accettazione delle differenze, né al riconoscimento e alla gestione della complessità delle proprie emozioni, predispone alla distruttività perché costruisce l’illusione – e poi la pretesa – che la propria partner debba corrispondere pienamente al proprio desiderio.

Chi non hai imparato ad accettare il cambiamento e l’irriducibile alterità altrui non metterà in conto la libertà della propria compagna né la propria capacità di sopravvivere al suo andarsene, arrivando alla logica del “o mia o di nessuno”, con il supporto e la collusione simbolica di una struttura sociale che condona la violenza maschile e riproduce una sofferenza culturale legata all’appartenenza di genere.

La strada è ancora lunga, uomini e donne, insieme devono ancora combattere per un’equità di percezione oltre che di trattamento. Presto non ci farà più ridere pronunciare la qualifica di Architetta, o strano sentir chiamare una Sindaca con la giusta desinenza.

Avrei voluto dire molto altro, segnalare l’app teStalking, strumento innovativo che facilita il riconoscimento di quelle emozioni che tendono a venire ignorate in caso di abuso, oppure come stava emergendo dalla discussione, portare una riflessione sul lavoro di equipe necessario e indispensabile tra i professionisti coinvolti nel lavoro in queste situazioni. È normale che sia chi subisce abusi, ma anche chi è chiamato ad intervenire vada supportato lungo tutto il processo d’azione. Forze dell’ordine, legali, personale sanitario, tutti potrebbero giovare della consulenza di un esperto per far sì che si evitino fenomeni di vittimizzazione secondaria, minimizzazione, conciliazione forzata, eccessi di giudizi e così via.

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Per approfondire, e molta della bibliografia utilizzata, consiglio:

Che genere di violenza. Conoscere e affrontare la violenza contro le donne di Maria Luisa Bonura

Stalking e stalker. Profili normativi e criminologici di Angela Davoli, Carmela Cancellara

Essere maschi. Tra potere e libertà di Stefano Ciccone

Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni di Lorenzo Gasparrini

 

L’immagine in copertina è di proprietà della Dove

Prossimamente pubblicherà anche il video del mio intervento.